Claudio Morandini: Quale dialogo tra lo scrittore e il lettore?

Claudio Morandini
Viviamo in tempi in cui la comunicazione sembra essersi ridotta a slogan, a aforismi messi insieme senz’arte, strillati e ripetuti finché non suonano veri. Per questo sento che c’è ancora e anzi sempre più bisogno di letteratura, cioè di uno spazio aperto di contatto e confronto, in cui ci si confronta con l’altro e il diverso, e si può correggere la propria propensione al dogmatismo e alle scorciatoie troppo facili. Niente è davvero facile e diretto in letteratura, almeno in quella che intendo io, il percorso resta imprevedibile, i caratteri sfuggenti, i temi scivolosi, mancano le conclusioni definitive, tutto è flessibile, relativo. L’autore non vi si aggira come una divinità spietata o come un campionissimo degli scacchi che ha già previsto ogni possibile mossa. E noi, da lettori, siamo messi dinanzi a una serie di punti interrogativi (ma nessun punto esclamativo ci farà innervosire o ci toglierà il piacere sofferto di provare ad azzardare una risposta, un seguito, un’ipotesi interpretativa). Siamo insomma invitati a una conversazione a distanza, che divaga e va alla deriva e si dilata e quando sembra aver raggiunto un punto fermo rimette tutto in discussione, ma in cui nessuno – qui sta il bello – strilla o sgomita per imporsi, e più che altro si sussurra, o addirittura si tace, perché anche il silenzio è una forma di dialogo. Non importa, secondo me, se, alla fine di un buon libro, questa lunga conversazione non ha consegnato certezze; avrà almeno garantito il conforto di un contatto, avrà fatto scoprire qualche piega nascosta di noi e degli altri (degli altri a noi, di noi agli altri), ci avrà vellicato qualche emozione che fatichiamo a esternare, avrà parlato alla nostra intelligenza, ci avrà aperti alla varietà del mondo, sarà diventata a tutti gli effetti esperienza del mondo.


Claudio Morandini

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