NO TAV Come uscire dallo scontro

Val di Susa Lago Grande

Una democrazia è tale solo perché il popolo elegge i propri governanti? Dopo di che il cittadino non ha più diritto ad intervenire? E il potere politico può non tenere più conto del pensiero dei cittadini?

Abbiamo sentito spesso parlare, negli ultimi tempi, di democrazia malata proprio per questo mancato rapporto tra elettore e eletto dopo le votazioni; di cittadinanza attiva quale antidoto al collasso democratico; come pure di patto elettorale tra elettore ed eletto per impedire derive autoritarie in campo politico.

Tuttavia in Val di Susa, nonostante un’intera comunità ritenga la costruzione della TAV una violenza alla propria terra, alle tradizioni e alla cultura locale, oltre che all’assetto ambientale, le Istituzioni politiche nazionali e regionali affermano con decisionismo unico che la TAV è necessaria ed indispensabile.

I fatti di questi giorni ci riportano alla mente l’esperienza di un piccolo uomo del Veneto, il contadino Giovanni Parolin 1, il quale, negli anni 60, di fronte alla decisione politica di trasformare un’ampia zona della sua terra in una grande cava di ghiaia e con successiva creazione di un enorme lago artificiale, si oppose con tutte le sue forze insieme alla sua gente a tale decisione. Scesero in strada ogni mattina all’alba, e si posero ogni giorno dinanzi alle ruspe, rischiando la galera e la morte, fino al giorno in cui quel loro grido giunse alle orecchie del Ministro che capì le ragioni di quella popolazione e annullò la decisione già presa.

Ebbene la lotta democratica di Giovanni e della sua gente ci porta oggi a riflettere su quanto sta accadendo in Val di Susa, dove il grido di dolore che sale da questa terra, così esteso e rappresentativo, viene messo inesorabilmente a tacere dalla classe politica regionale e nazionale, ostinata nel suo “dovere istituzionale”.

Purtroppo questo atteggiamento è molto diffuso in politica: nelle piccole o grandi città, nelle Regioni e al Governo, quasi sempre le scelte vanno realizzate indipendentemente dall’opinione dei cittadini.

Non condividiamo tali atteggiamenti da qualunque parte politica essi provengano, anzi li riteniamo un pericolo della vita democratica.

Per scelte fondamentali e fortemente controverse, occorre sempre una mediazione che parta da un confronto serio, e dove ciascuna delle parti eserciti i propri diritti ma anche i propri doveri; e fra i doveri fondamentali di un paese che si definisce democratico c’è quello di raggiungere soluzioni condivise tra parte politica e parte sociale, in quanto la non condivisione porta conflitto e accende la violenza. Lo affermava in tempi non sospetti Chiara Lubich quando diceva: “E’ meglio il meno perfetto in unità, che il più perfetto nella disunità”.

Lì dove il contrasto sembra insanabile, non è debolezza rimandare la soluzione, ma vera saggezza. Sì è saggezza riconsiderare, in tali situazioni, le diverse ragioni, riesaminare i problemi correlati, sviscerando le motivazioni che impediscono una convergenza, nel rispetto profondo di ogni pozione, applicando alla vita politica quella categoria disattesa della fraternità, che ci porta sempre a guardare con grande attenzione le ragioni altrui come le proprie.

Evidentemente la classe politica odierna è molto lontana da tale visione della politica, e la mancata applicazione del principio della fraternità, in quanto categoria fondante della vita politica, mette oggi seriamente a rischio la libertà e l’uguaglianza a vari livelli,

A nostro parere, bisogna ricondurre lo scontro oggi in atto in Val di Susa su un piano di confronto serio che si realizza attraverso un dialogo costruttivo che non punti alla prevalenza delle ragioni dell’uno sulle ragioni dell’altro, ma che arrivi, in uno spirito di vera fraternità, seppur faticosamente, ad una sintesi nuova, senza vincitori o vinti.

1 – Pasquale Lubrano Lavadera, Cerco un paese innocente: il sogno di Giovanni Parolin, Città Nuova 2011

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