Antonio Cardarelli: La medicina prima di essere scienza è ascolto
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| Antonio Cardarelli (1931- |
Non aveva mani da chirurgo, ma orecchie da musicista.
Non impugnava il bisturi, ma sapeva cogliere ogni sussurro del corpo.
Studiò medicina a Napoli con la determinazione di chi sogna di curare chi non può nemmeno permettersi una visita.
Ogni esame, ogni libro, era una promessa fatta ai poveri.
Poi arrivarono gli ospedali, quelli veri, quelli dove la miseria è più tagliente della malattia.
Tubercolosi, colera, febbre tifoide, cuori stanchi.
Lì non bastava ciò che era scritto, servivano occhi, pazienza, intuizione.
Servivano orecchie allenate a sentire il dolore nascosto, quello che non fa rumore.
Divenne un gigante della semeiotica, l’arte sottile e potente di diagnosticare con l’ascolto e lo sguardo.
Senza strumenti, solo con la vicinanza.
Appoggiava l’orecchio sul petto di un paziente, e sentiva la verità.
Il cuore parlava, e lui capiva.
Il respiro gli raccontava storie di vita e di malattia.
Il colore della pelle, il ritmo di un battito, un tremolio, ogni segnale era un messaggio da decifrare.
Non cercava il clamore, eppure il suo nome divenne eco.
Il “segno di Cardarelli”, quel gesto clinico capace di rivelare un aneurisma, è ancora oggi un’eredità viva.
Un movimento semplice, umano, che ha strappato alla morte tante persone.
Fu medico di re, di ministri, di gente potente.
Ma non lasciò mai il suo posto tra le corsie di Napoli.
Perché la medicina, per lui, non era carriera. Era vocazione.
E quando la sua vita si spense, lasciò inciso il suo epitaffio:
“Visse povero, morì povero.”
Oggi l’ospedale più grande del Sud Italia porta il suo nome.
Ma il vero monumento a Cardarelli è invisibile.
È nel gesto di ogni medico che ascolta.
Nel rispetto con cui si tocca un corpo malato.
Nella cura che nasce prima dalla persona, e poi dalla macchina.
Perché lui ci ha insegnato una cosa sola, eterna:
che la medicina, prima di essere scienza, è ascolto.
dalla Pagina faceboock di Raffaella Bellucci Sessa

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