Lamartine, Procida e la fraternità del mondo intero
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Pasquale Lubrano Lavadera |
Pasquale Lubrano Lavadera è uno storico collaboratore di Città Nuova. Matematico, artista e scrittore fortemente legato alla sua terra, che è poi la caratteristica isola di Procida nel Golfo di Napoli dove compone con Nisida, Ischie e Vivara il complesso delle isole Flegree. Di recente Lubrano, oltre a scrivere un libro su un Alphonse de Lamartine (“Lamartine, sognando la fraternità” edizioni IOD), ha stretto un sodalizio ideale con la vicenda di questo scrittore del romanticismo francese scomparso nel 1869, dopo aver ricoperto ruoli politici e diplomatici negli anni convulsi della Rivoluzione francese e della complessa fase della restaurazione. Attratto dall’Italia, la storia intima di Lamartine è strettamente legata a Procida, isola che ha conosciuto direttamente, come dimostra la fortuna di uno dei suoi libri più noti, "Graziella", incentrato proprio in questo lembo di terra che continua ad affascinare per motivi che cerchiamo di approfondire in questo dialogo diretto con Pasquale Lubrano Lavadera.
Come è iniziato il tuo rapporto con Lamartine e cosa c’entra Procida, l’isola da te tanto amata ?
Ho sentito parlare di Lamartine, quando a 14 anni: un mio zio mi regalò il romanzo Graziella scritto da Lamartine, in cui si parlava dell’amore tra lo scrittore ventenne e una fanciulla dell’isola di Procida, dove io vivevo. Senza saperlo entravo nel mondo poetico di questo scrittore. Più tardi, negli anni universitari, un vecchio comandante, amico di famiglia, mi rivelò che la storia di Graziella scritta da Lamartine non era vera, ma inventata di sana pianta traendo spunto dal romanzo “Charles Barrimore” dello scrittore francese Conte de Forbin. Notizia vera o falsa? In me ci fu una grande delusione, ma non avevo elementi per sciogliere questo dubbio. Forse fu allora che nacque in me il desiderio di indagare un po’ nella vita di Lamartine, del tutto sconosciuta.
Come è proseguita dunque la tua ricerca?
Nel periodo universitario, 1968 – 1972, quando mi recavo a Napoli, cercavo in libreria libri di Lamartine o saggi su di lui. Ma tranne Graziella non c’era altro. Solo alcuni anni dopo, nel 1990, mi trovai davanti un testo molto importante: gli “Atti” (Edizioni Guida) relativi a un grande convegno che l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa aveva promosso sul tema “Lamartine e l’Italia” a 200 anni dalla nascita. Una vasta miniera di notizie che evidenziano il grande valore letterario e politico di Lamartine e della sua presenza in Italia, nelle ambasciate francesi di Napoli e Firenze.
Cos’altro hai scoperto?
Proprio da quel testo appresi dell’esistenza di una donna italiana che aveva avuto una grande influenza su di lui, dal punto di vista religioso e politico: Giulia di Barolo, di cui era stato pubblicato l’epistolario “Ditemi il vostro segreto”, San Paolo, 2000. Cercai questo testo e anche questa volta mi si aprirono orizzonti inaspettati sulla sua vita. Intuii che Lamartine era stato uomo dalla personalità complessa, dove inquietudine e passione caratterizzavano le sue esperienze. E fu a quel punto che decisi di iniziare una ricerca più sistematica e completa. Parlandone poi con un amico francese, Pierre Garosce, ebbi la possibilità di conoscere più a fondo la personalità di Lamartine in quanto egli volle donarmi saggi critici del padre di sua moglie, A. Loranquin, originario di Mâcon, la città in cui nacque e visse Lamartine.
Quali sono i tratti biografici di Lamartine e perché sono attuali a tuo parere?
Lamartine non fu solo poeta e scrittore e per alcuni anni fu fortemente impegnato nella politica. Addirittura fu considerato l’ispiratore della seconda rivoluzione francese del 1848. Mi indirizzai allora alla ricerca di testi storici nella Biblioteca Classense di Ravenna, dove in quel periodo lavorava mia figlia, e potei leggere proprio la “Storia della rivoluzione del 1848” scritta da lui e i “Discorsi politici dal 1836 al 1850” a cura di G. Fassio per la UTET, 1948. Capii che la casa editrice torinese offriva ai parlamentari italiani il contributo politico che Lamartine aveva dato un secolo prima per riportare la Repubblica in Francia.
Quale aspetto del suo pensiero politico ti ha colpito maggiormente?
Prima di tutto il fatto che egli, di formazione monarchica, grazie all’educazione religiosa di sua madre, comprese il valore sociale e politico dei tre principi della rivoluzione francese: “Liberta uguaglianza e fraternità”. Lamartine vi riconobbe i principi che il Cristo aveva proposto all’umanità, convinto che solo l’attuazione di essi poteva abbattere le forti disuguaglianze esistenti un po’ dappertutto e aiutare gli uomini a riconoscersi come fratelli.
Valori applicati poi con esiti controversi dalla rivoluzione francese…
Infatti, studiando in profondità quel grande cambiamento rivoluzionario, si convinse che la monarchia avesse ripreso il potere grazie al periodo del “Terrore”, che aveva oscurato del tutto gli anni della rivoluzione. Decise allora di entrare nel Parlamento francese e, come affermò nel primo discorso, il suo impegno era motivato solo «dall’interesse e dalla sorte delle classi lavoratrici, delle masse proletarie fin troppo spesse oppresse dalla nostre cieche leggi
Che tipo di proposte concrete cercò di portare avanti?
Propose di estendere il diritto di voto a tutti, parlò più volte dell’abolizione della pena di morte, di unità della famiglia umana e di fraternità, da realizzare fra gli individui e i popoli, condannò ogni tipo di imperialismo, a partire dall’imperialismo napoleonico e ogni tipo di guerra, affermando che ogni guerra è la legalizzazione da parte dello Stato di un omicidio o suicidio di massa.
E nel campo sociale?
Propose l’istruzione anche per i figli dei poveri, e il diritto di proprietà per tutti, in quell’epoca solo appannaggio dei nobili, la cura degli orfani abbandonati nella miseria, e l’illegittimità del colonialismo e della conseguente schiavitù.
Come fu accolto un programma politico così avanzato?
Lamartine pronunciò discorsi “di fuoco”, che furono respinti dal Parlamento francese dell’epoca, ma che oggi ci fanno comprendere la grandezza politica di quest’uomo che aveva intravisto in quale direzione l’umanità doveva incamminarsi. Sconfitto nell’aula parlamentare affidò allora alla scrittura il suo sogno, pubblicando “La Storia dei Girondini”, ossia la storia dell’ala più moderata dei rivoluzionari del 1789 repressa nel sangue.
Che accoglienza ebbe questo suo lavoro culturale e che tipo di effetti riuscì a produrre?
"La storia dei girondini" fu letta da tutti i francesi e riaccese nel popolo il desiderio forte di una repubblica costituzionale, proprio in quel 1848 che segnò la nascita della seconda repubblica, di cui Lamartine fu ministro degli Esteri. E come primo atto legislativo, su proposta di Lamartine, la seconda Repubblica abolì la pena di morte.
Un successo politico che poteva portare a grandi risultati…
Certo, ma quando Lamartine si presentò alla elezioni presidenziali gli fu preferito purtroppo Luigi Bonaparte, il quale da presidente, con un “colpo di Stato”, abolì la Repubblica e riportò l’impero in Francia.
Come reagì Lamartine?
Accettò con dolore la sconfitta e nel 1852 lasciò definitivamente l’azione politica. E proprio in qull’anno scorporò dalla grande opera autobiografica, le Confidences, un ricordo di gioventù vissuto a Napoli, e lo pubblicò come romanzo col titolo Graziella, affidando a quelle pagine il suo sogno di una fraternità politica e sociale nell’abolizione dei privilegi che le classi nobili strenuamente ripresero a difendere, e raccontando la vita di una povera famiglia di pescatori dell’isola di Procida.
Qual è stato il percorso umano profondo di Lamartine?
Possiamo dire che una sua vera conversione spirituale fu dovuta all’incontro di due donne: la moglie Mary-Ann e Giulia di Barolo, che gli diedero forti motivazioni per opporre un netto rifiuto alle tentazioni della carne e del gioco d’azzardo di cui era stato vittima in gioventù, allontanando da sé, con uno sforzo di cui è difficile misurare la dimensione e il coraggio, tutte le occasioni propizie a passioni nascoste.
Quali furono i suoi rapporti con l’esperienza religiosa?
Guardando l’intera esistenza di Lamartine e leggendo i suoi scritti ci rendiamo conto che egli non ha mai taciuto il suo sentire, il suo cercare Dio nei momenti di gloria e nell’oscurità, nel tormento e nei dubbi, fino alla fine, esprimendo il suo pensiero con trasparenza estrema, urtando la suscettibilità di qualcuno o mettendo a repentaglio la sua onorabilità, come quando ritenne utile evidenziare la positività dell’Islam, inteso e vissuto con coerenza alle parole del Corano. Fu quindi uomo del dialogo anche con altre religioni.
E riguardo al cristianesimo?
La sua forte sensibilità gli faceva percepire i limiti umani presenti in ogni religione e soprattutto lo portarono ad essere insofferente quando, per le categorie del mistero si mettevano in campo ragionamenti razionali, simboli, dogmi, liturgie pompose, quasi a voler imprigionare l’Infinito in categorie umane. Come affermerà un secolo dopo il poeta Mario Luzi, per il mistero non poteva che esserci il mistero. Tutta la sua opera, messa all'Indice dalla chiesa cattolica, la si può leggere come ricerca di un rapporto con l’assoluto a cui la sua anima anelava incessantemente e di cui restano alcuni segni o cifre misteriose nella pagina iniziale dei suoi lavori. Parole che noi non potremo mai leggere e che forse simboleggiano una preghiera.
Alla fine, nonostante le sconfitte, che tipo di incidenza ha avuto sul piano politico?
Credo che sia incontestabile il fatto che nel 1848, per la seconda volta, era stato piantato il seme fecondo di una Repubblica fondata su libertà, uguaglianza e fraternità grazie al suo strenuo e audace impegno; un seme che avrebbe dato i suoi frutti negli anni a venire. Se guardiamo la realtà odierna non la vediamo del tutto dissimile a quella che Lamartine visse. Le democrazie nate nel solco della rivoluzione francese non hanno ancora ascoltato le voci profetiche della storia e spesso, corrompendosi nell’esercizio di un potere male inteso, hanno destabilizzato quella base di principi sulla quale doveva erigersi il grande sogno della rivoluzione democratica, nell’unità e nella pace di tutti gli uomini della Terra.
Uno scenario che appare sempre più messo in difficoltà in questo nostro tempo…
E infatti per questo motivo Lamartine continua ad affascinarmi e io continuo a sentirlo particolarmente vicino per quel suo sguardo profetico sull’unità della famiglia umana, da realizzare attraverso una fraternità vissuta a livello sociale e politico in ogni nazione del mondo. Realtà che solo nel secondo Novecento ha cominciato a prendere forma in istituzioni internazionali, in movimenti per la pace e in progetti per l’unità dei popoli, portata avanti con coraggio da uomini e donne del tempo presente. E non possiamo non ricordare quell’invito spesso riproposto da parte di una donna, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, di “Amare la patria altrui come la propria”. Era quanto aveva intuito Lamartine due secoli prima: questo lo rende molto vicino alle ansie e alle ricerche di noi esseri umani del terzo millennio, accomunati nel suo vedere lontano quell’orizzonte dell’unità della famiglia umana per cui vale la pena sognare e lottare.
Arrticolo pubblicato su Città Nuova a cura di Carlo Cefaloni
Roma 17 luglio 2025
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