"Speranza e utopia in Chiara Lubich" di Piero Taiti

Chiara Lubich nella cittadella di Fontem in Camerun

Ho visto recentemente un vecchio video di una giovane Chiara che rispondeva ad una banale domanda sulla sua idea della giustizia .

La risposta profferta senza dubbi e senza timore era stata pressappoco una citazione di un pezzo del Magnificat ("Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi.” ) con uno scarno commento sul fatto che tutto quello che è importante è stato già detto nelle parole di Maria.

Il video fu registrato in un’epoca che oggi ci appare lontana: erano anni di scontri sociali cruenti, e talvolta insanguinati, in un paese uscito dalle rovine della guerra, alle prese con una protesta di rivendicazioni civili di classi sociali dimenticate da secoli nella storia di questo paese.

Di fronte a quella realtà drammatica, quella di Chiara poteva sembrare una risposta certo non evasiva, ma tutto sommato molto spostata su un’abile citazione diplomatica di un tratto delle Sacre Scritture, tanto per non prender parte in una realtà politicamente incandescente.

Ma né il tono della risposta, né il breve commento autorizzavano un’interpretazione edulcorata e un po’ pretesca, né d’altra parte la ancora giovane storia del Movimento era priva di elementi che consentivano di capire che quelle parole erano dette prendendole estremamente sul serio.

Basterebbe pensare agli innumerevoli episodi di pietà “francescana” degli inizi, nella città di Trento durante ed alla fine della guerra, la serietà esistenziale della scelta evangelica, la radicalità della nuova esperienza di vita comunitaria, che non si esprimeva solo con l’offrire agli altri “il superfluo”, ma anche nella scelta della condivisione dei beni necessari.

Ma vi erano certo anche altri temi del Movimento che inducevano ad una visione “utopica” della famiglia umana: un richiamo potente di apertura totale verso un’umanità ferocemente divisa da barriere di qualsiasi tipo, era dato da quell’interpretazione ribattuta della preghiera di Cristo “perché siano una cosa sola”; mentre il tema dell’abbandono sulla Croce, metteva, da un lato, in contatto il Movimento nascente con tutta la tematica della teologia novecentesca del Silenzio di Dio (dilacerante problema di fede in un mondo da poco uscito dalle rovine e dagli stermini coevi al secondo conflitto mondiale), dall’altro, con la fede nel Dio crocifisso, recuperava l’atteggiamento cristiano della speranza verso tutti gli uomini.

Che tutti capissero o no il senso di quelle letture, esse hanno oggettivamente agito come efficaci strumenti di ostinata interpretazione fraterna di un mondo di uomini che anche allora non parlavano e non volevano parlare di “compassione”, di dignità, di uguaglianza, di fratellanza, di pace; o, se ne discutevano, ne parlavano all’interno di poderose fortezze ideologiche che impedivano alla voce degli uomini di sovrastare quella dei cannoni.

Quelle parole d’ordine del Movimento furono potenti supporti di fiducia per una nuova umanità, una incauta e spesso derisa speranza per un nuovo ordine sociale, non ancora visibile, ma certamente edificabile.

Basterebbe pensare alla visione delle cittadelle, come costruzione di nuove “Einsideln”, in cui fosse possibile vivere secondo quelle regole che, per l’epoca, non erano certamente meno stravaganti di quelle immaginate da Tommaso Moro per la sua Utòpia.

Dopo il viaggio a Fontem ho ripensato molto alla considerazione che il termine fratellanza era stato quello, della triade rivoluzionaria ( Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) meno vissuto nelle istituzioni civili e più dimenticato nelle elaborazioni politiche, dopo ma anche durante, il periodo della Rivoluzione Francese.

Mi sono chiesto, come molti altri più attenti e curiosi di me, quali fossero le motivazioni.

Una almeno che ho trovato mi sembra particolarmente calzante con l’esperienza del Movimento, o almeno con la mia interpretazione dell’esperienza del Movimento.

Confermando quanto aveva scritto Bloch nel suo Il principio speranza, Arrigo Colombo ha scritto che tutti i veri progetti utopici (da quelli “mitici”, a quelli più recenti) hanno in comune alcuni valori fondamentali: la giustizia, l’amore fraterno, la comunione dei beni, di vita, di affetti, la libertà dal bisogno e dal lavoro inteso come coercizione (non certamente come fatica necessaria per contribuire alla comunità ), la pace e la felicità (Colombo Arrigo, L’utopia, Dedalo).

Ho riscontrato così che storicamente l’idea di fratellanza (dagli Stoici al Cristianesimo, dalle Utopie rinascimentali al Socialismo utopistico) si è sempre associata al concetto della condivisione dei beni.

In questa luce credo allora di capire perché quella risposta di Chiara era fortemente creduta, perché di fronte alle miserie delle Favelas le sia venuta in mente l’Economia di Comunione, perché Fontem sia passata quarant’anni fa da una speranza utopica ad un briciolo di speranza realizzata nel tempo e nello spazio, nel ricco, ma anche povero e travagliato continente africano.

A Fontem si chiese all’inizio la fratellanza, la pace, l’amore fra tutti, un po’ di terreno e qualche palma che c’era sopra cresciuta. Il resto fu dato gratuitamente, in parte anche costruito nella condivisione, ma non fu mai chiesto sostanzialmente in cambio nulla di più del dono.

Quello che con il tempo è venuto, anche nei tempi più recenti, è stato certamente benedetto, ma non era uno scambio né di fedi né di ideologie e perfino nemmeno di prevedibili benefici (seppure poi ci siano stati anche quelli), fu ed è un dono gratuito offerto per amore del prossimo nello spirito della fratellanza e del rispetto della cultura di quella umanità, che lo Spirito o gli Spiriti avevano posto in quelle foreste tropicali.

L’esperienza di Fontem è nata all’interno dell’utopia del Magnificat ed è facile prevedere che, come la fiaccola sul moggio, solo all’interno di quella sarà capace di continuare a splendere la sua luce.

Piero Taiti

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