Rosario Livatino e la credibilità

Rosario Livatino

Il giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990 mentre si recava in tribunale, aveva scritto su un quaderno queste parole: “Alla fine non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili”.

Sono parole stupende per profondità e provocazione. Parole che aiutano a sottolineare due aspetti fondamentali della responsabilità educativa: la verità e la coerenza. Se vogliamo davvero crescere e aiutare a crescere attraverso il rapporto educativo, non ci è consentito bluffare. Non solo non è permessa la presunzione, il sentirsi superiori agli altri, l’obbligarti a camminare al nostro passo, ma una volta che si entra in relazione bisogna essere veri, leali, sinceri. Né sono ammessi impegni a metà: le parole devono saldarsi ai fatti, le intenzioni non possono restare sulla carta. Educazione e legalità sono due modi di pronunciare la parola “noi”.

Nell’educazione il “noi” ha il volto della reciprocità: io e te siamo diversi, ma è proprio sul terreno di questa comune diversità che possiamo incontrarci, riconoscerci, amarci.

Nella legalità il “noi” ha il volto della legge, un volto forse arcigno ma necessario.Un volto che non ci è chiesto infatti di amare ma di rispettare. Una società ha bisogno di leggi perché il volto della legge simboleggia quello degli “altri”, delle persone che non conosciamo direttamente ma che vivono insieme a noi e come noi hanno il diritto di essere riconosciuti nella loro unicità e dignità.

Luigi Ciotti

Luigi Ciotti, Ma per far crescere giovani nuovi servono progetti concreti di cambiamento. Avvenire 10 aprile 2011

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