Pier Paolo Calzolari e "L' Arte povera"
Pier Paolo Calzolari e una sua opera
Pier Paolo Calzolari ha un volto antico: a immaginarselo in abiti quattrocenteschi, potrebbe essere un artista alla corte del Duca di Montefeltro. E intorno a lui c’è una bolla di silenzio desueto: parla a voce bassissima, mangiandosi le parole, e nel suo enorme studio – dove tutto sembra sospeso, immobile, anche i collaboratori di lavoro – si sente solo il ronzio sordo dei motori che producono brina, quel velo di ghiaccio che riveste tante sue opere d’un bianco algido che abbaglia. Come abbaglia perfino il nero assoluto dei suoi legni combusti, bruciati.
Per Calzolari la luce è un tema ricorrente, che sia naturale, o al neon o di candela. Anzi la sua vita sembra scandita da un rincorrere la luce…I due capannoni industriali dove lavora, ai margini di Fossombrone, tra Pesaro e Urbino, sembrano fatti di luce: una luce tersa dove la brina risalta ancora più bianca e le combustioni ancora più nere.
“Si parla dell’Arte povera – dice Calzolari – come di un movimento: non sono d’accordo. Perché non avevamo una visione unitaria: eravamo costellazioni diversissime tra loro, anche se con forti punti di intesa…A mio avviso l’Arte povera non è stata neanche un’avanguardia, come spesso si ripete, perché non intendeva affatto contestare il passato, porsi in alternativa: il ricordo e l’emozione del passato convivevano in tutti noi con il presente.”
Un opera di Calzolari
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