La scuola viene spesso recepita dai giovani come un carcere
Nella
stragrande maggioranza dei casi l’origine del disagio nei giovani ha a che fare
con due realtà: la famiglia e la scuola…In quanto docente mi interrogo
soprattutto sulla scuola…Quell’ambiente che dovrebbe essere per eccellenza il
luogo della crescita personale, della socializzazione, della formazione
culturale, insomma luogo di scoperte, di curiosità, di entusiasmi, spesso viene
percepito come un carcere.
Ha
scritto Oscar Wilde: “Una scuola dovrebbe essere il posto più bello di ogni
città e di ogni villaggio, così bello che la punizione, per i ragazzi
indisciplinati, sarebbe di essere privati della scuola l’indomani”.
Temo
che siamo molto lontani da quell’auspicio…Ciò che emerge dal vissuto di molti
ragazzi è che la scuola viene percepita come un posto freddo, lontano,
giudicante, punitivo, ma soprattutto impersonale…Si tratta di conoscere bene
ogni singolo studente, ascoltarlo prima ancora di parlargli per trasmettergli i
contenuti disciplinari, cercando di abbattere il muro del mutismo e della
diffidenza.
Ma
perché nella scuola un approccio di questo tipo è così difficile? Certo i
numeri non aiutano, perché quando si hanno classi con 32 ragazzi diventa
complicato conoscerli davvero. Negli
ultimi anni poi per la scuola statale le cose sono molto peggiorate, perché si
è deciso di risparmiare e di tagliare a tutti i costi, senza preoccuparsi
troppo della qualità dell’offerta formativa.
Ma
credo che sia anche questione di impostazione mentale di noi docenti. Nella scuola
di ieri, quella che abbiamo frequentato, eravamo noi studenti a dover “salire”
faticosamente al livello degli insegnanti. Oggi questo modello non funziona
più, perché l’esperienza ci insegna che esso rischia di produrre ansia da
prestazione, frustrazione, competitività esagerata.
E’
dunque urgente un mutamento di
paradigma, una rivoluzione copernicana che metta al centro del percorso
didattico non più l’istituzione (con i suoi programmi, le sue verifiche, le sue
promozioni e bocciature) ma la persona dello studente.
Non
è facile perché ci muoviamo in condizioni contestuali decisamente sfavorevoli.
Ma sono sempre più convinto che sia l’unica strada che valga la pena
percorrere.
Roberto Carnero
Da
Roberto Carnero, Perché la scuolanon diventi un impersonale prigione, Avvenire,
21 aprile 2013
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