Il lavoro, la prima ricchezza delle imprese e della società
Il lavoro è sempre al centro di ogni patto sociale. Attorno ad esso si raccolgono sfide e dimensioni della vita in comune, molto più grandi di quelle in gioco in qualunque altro mercato. Ecco perché dovremmo parlare di “mercato del lavoro” sempre con grandi precauzioni, perché se da una parte esiste, come in ogni mercato, una domanda e un’offerta di lavoro, dall’altra il lavoro è molto più di una merce, poiché quando manca non è possibile non solo acquistare le varie merci sul mercato, ma neanche sognare e realizzare la vita che desideriamo vivere.
Per queste ragioni il diritto al lavoro è uno di quei diritti sociali che vanno riconosciuti e proclamati anche quando sono incompleti, perché manca il corrispondente dovere in capo ad altre persone o istituzioni.
Dovremmo allora, quanto meno guardare con sospetto chi vede la disoccupazione e l’inflazione come due variabili dello stesso peso, perché i danni della disoccupazione sono molto maggiori di quelli prodotti dall’inflazione.
Il lavorare o l’attività lavorativa è infatti una delle dimensioni più fondamentali e tipiche della persona. Lavorare dice agli altri e a noi stessi “chi” siamo e non solo “che cosa” facciamo, e in una società sempre più povera di linguaggi, perché povera di relazioni sociali, il mestiere diventa il principale se non l’unico linguaggio per raccontare agli altri e a noi stessi la nostra storia e la nostra identità.
Il lavorare bene, allora, è qualcosa di intrinseco alla persona, ben prima di essere la risposta agli incentivi del datore di lavoro.
In questi giorni invece, tutta l’enfasi del discorso sul lavoro cade sulla maggiore libertà da dare alle imprese di licenziare i lavoratori “fannulloni”, senza domandarsi, ogni tanto, perché esistono i lavoratori fannulloni, se è vero che il lavoro è soprattutto una espressione della nostra umanità e identità, e che quando non si lavora bene si sta male, dentro e fuori le imprese.
Luigino Bruni
Da Luigino Bruni, A proposito di lavoro dono e “fannulloni”, Avvenire 30 ottobre 2011
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