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Una scena del film su Don Ciotti "Così in terra". |
Le culture antiche, segnate dai tempi lenti della vita nomada e
pastorale, sembrano lontane dalle nostre esigenze quotidiane di efficienza e
competitività. Tuttavia anche noi sentiamo a volte la
necessità di una pausa, di un
luogo di riposo, dell’incontro con qualcuno che ci accolga cosí come siamo.
Abbiamo bisogno di un altro (o di altri), che sia disposto a proteggerci
e offrirci rifugio; non solo, che sia capace di giocarsi per ognuno di noi. Un
leader, un maestro, un vero pastore, che ci guidi non soltanto verso la verità e venga da noi ogni volta che ci perdiamo, ma
che ci aiuti nel recuperare la fraternità fra di noi.
Cosí potremo avere la certezza di essere amati, compresi e perdonati
incondizionatamente.
Ogni volta che sperimentiamo, almeno in parte, questa presenza
silenziosa ma potente nella nostra vita, si accende nel cuore il desiderio di
condividerla, di far crescere la nostra capacità di cura e di ospitalità verso gli altri. Potremo cercare di conoscere
meglio le persone della nostra famiglia, i colleghi di lavoro o i vicini di
casa, per lasciarci scomodare dalle esigenze di coloro che sono vicino a noi.
Possiamo esplicare la fantasia dell’amore, coinvolgendo gli altri e
lasciadoci coinvolgere. Nei nostri limiti potremo contribuire alla costruzione
di comunitá fraterne e aperte; capaci di accompagnare con pazienza e in modo
deciso il cammino di molti.
Chiara Lubich scrisse su una nota frase di Gesú: ‘Non c’è amore piú grande che dare la vita per gli
amici' (Gv 15,13). E ci commentava come lui visse in profondità quest’offerta. Ci diceva che era un amore
generoso, un amore di effettiva disponibilitá nell’offrire, nel consegnare la
propria vita.
E questa dovrebbe anche essere la misura del nostro amore (almeno
nell’intenzione e nella decisione): non un amore qualsiasi, non
un’infarinatura, ma un amore così grande che
metta in gioco la vita.
A cura degliui amici del dialogo dell'Urugay
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