Il dolore e la vita
“Rinunciare a se stessi e assumere il
dolore
Non possiamo negarlo: ognuno ha la sua
croce. Il dolore, nelle sue differenti manifestazioni, fa parte della vita
umana, benché ci risulti incomprensibile e contrario al desiderio di felicità.
Tuttavia, possiamo scoprire in esso una luce inattesa. Così come succede a volte quando, entrando in
alcune chiese, avvertiamo delle meravigliose e luminose vetrate che
dall’esterno sembravano buie e prive di bellezza.
Ci viene chiesto un completo cambiamento
nella nostra scala di valori, di spostarci dal centro e di rifiutare la logica
della ricerca di un interesse personale.
Dobbiamo fare più attenzione alle esigenze degli altri che alle nostre;
utilizzare le nostre energie per far felici gli altri, senza perdere
l’occasione di confortare e dare speranza a coloro che incontriamo. Da questa
liberazione dall’egoismo può iniziare in noi una crescita in umanità, una
conquista della libertà che dia pienezza alla nostra personalità.
E
questo anche quando tante volte veniamo messi alla prova a causa di
piccole o grandi incomprensioni nell’ambiente sociale in cui viviamo. Ma non siamo soli e dobbiamo continuare a
giocare la nostra vita per l’ideale più ardito: la fraternità universale, la
civiltà dell’amore.
Questa radicalità nell’amore è un’esigenza
profonda del cuore umano, così come testimoniano pure tante personalità che
hanno seguito in profondità la voce della coscienza. Scrive Gandhi: “Se qualcuno mi uccidesse e io morissi con una preghiera sulle mie
labbra per il mio assassino, e il ricordo di Dio e la coscienza della sua viva
presenza nel santuario del mio cuore, solo allora si potrebbe dire che posseggo
la non violenza dei forti”.
Chiara Lubich trovò nel misterio del
dolore amato il rimedio per sanare ogni ferita personale ed ogni disunità fra
le persone, gruppi e popoli. Nel maggio
2007, in occasione del convegno Insieme per l’Europa nella città di Stoccarda,
scrisse: “…Anche noi possiamo andare al
di là del dolore e superare la prova… E se nel momento dopo ci lanciamo ad
amare i fratelli…, sperimentiamo che il dolore si trasforma in gioia. I nostri gruppi possono conoscere piccole o
grandi divisioni: anche lì possiamo superare il dolore in noi per ricomporre la
fraternità. La cultura della comunione
ha come strada e modello il dolore amato”.
“Renunciar a sí mismo y cargar con el dolor”
No podemos negarlo: cada uno tiene su
cruz. El dolor, en sus diferentes manifestaciones, forma parte de la vida
humana, aunque nos resulte incomprensible y contrario al deseo de felicidad.
Sin embargo, podemos descubrir allí una luz inesperada. Tal como sucede a veces
cuando, al entrar en algunas iglesias, advertimos maravillosos y luminosos
vitraux que desde el exterior parecían oscuros y carentes de belleza.
Se nos pide un completo cambio en la
escala de valores, desplazándonos del centro y rechazando la lógica de la
búsqueda de un interés personal. Prestarle más atención a las exigencias de los
demás, antes que a las propias; emplear nuestras energías para hacer felices a
los otros, sin perder ocasión de confortar y dar esperanza a quienes
encontramos. Con este camino de liberación del egoísmo puede comenzar para
nosotros un crecimiento en humanidad, una conquista de la libertad que realice
plenamente nuestra personalidad.
Y esto incluso cuando tantas veces se nos
pone a prueba por pequeñas o grandes incomprensiones del ambiente social en el
que vivimos. Pero no estamos solos y tenemos que seguir jugando la vida por el
ideal más audaz: la fraternidad universal, la civilización del amor.
Esta radicalidad en el amor es una
exigencia profunda del corazón humano, tal como dan testimonio también tantas
personalidades que siguieron en profundidad la voz de la conciencia. Escribe
Gandhi: “Si alguien me matara y yo
muriera con una oración en los labios por mi asesino, y el recuerdo de Dios y
la conciencia de su viva presencia en el santuario de mi corazón, sólo entonces
podría decirse que poseo la no violencia de los fuertes”.
Chiara Lubich encontró en el misterio del
dolor amado el remedio para sanar toda herida personal y toda desunidad entre
personas, grupos y pueblos. En mayo de 2007, en ocasión de una manifestación de
Movimientos y Comunidades en Stuttgart, escribió: “…También nosotros, podemos ir más allá del dolor y superar la prueba…
Y si en el momento siguiente nos lanzamos a amar a los hermanos…,
experimentaremos que el dolor se transforma en alegría. Nuestros grupos pueden
conocer pequeñas o grandes divisiones: también allí podemos superar el dolor en
nosotros para recomponer la fraternidad. La cultura de la comunión tiene como
camino y modelo el dolor amado”.
Claudie Larrique
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