Quando la morte è una lezione di umanità
Funerale civile per Valeria Solesin |
Oggi che il mondo si raggomitola su se stesso, che si chiude
e inalbera una corazza a difesa dei suoi valori e della sua gente, che blinda
frontiere e restringe passaggi, oggi c'è un uomo che a questo mondo dà una lezione
di umanità commovente. È un uomo normale, o almeno lo era fino a 10 giorni fa:
aveva un lavoro, una casa, una moglie, una figlia. Al mattino si alzava,
afferrava gli occhiali dal comodino, si beveva un caffè, andava in ufficio, ci
stava fino a sera poi, dopo un adeguato numero di ore, compiva il percorso
inverso e tornava a casa, si levava gli occhiali e si addormentava nella
rassicurante certezza della sua tranquilla quotidianità. Una notte però quella
sua pacifica routine è stata scombinata, irrimediabilmente, da un gruppo di
senza dio che in nome di dio gli hanno ammazzato la figlia. Che aveva 28 anni,
questa figlia, ed era bella e anche buona: una di quelle che la gente te le
invidia. E ora che la gente pensa di non avere più nulla da invidiargli lui,
quest'uomo normale, si infila di nuovo gli occhiali e, senza nemmeno aver
bisogno di un pulpito e di un pubblico, mette insieme la più grande lezione di
umanità di cui io abbia memoria.
Alberto, questo è il nome nome normale di un uomo inconsapevolmente eccezionale, seppellirà sua figlia, e lo farà con dolore, rimpianto, angoscia e (immagino) un senso di perdita che solo un genitore che lo ha provato prima di lui, può comprendere. Ma lo farà senza quella rabbia e quel folle terrore che leggo nelle dichiarazioni di chi al Bataclan ha perduto solo l'idea di tranquillità in cui si cullava.
Nei giorni in cui il mondo annuncia la Terza Guerra Mondiale e si prepara a inondare di sangue i suoi quattro angoli, lui piano piano, senza alzare la voce, senza versare una pubblica lacrima (che non so immaginare quante ne stia versando nella violata tranquillità della sua casa) spiega al mondo che la pace è possibile. Lo spiega a capi di Stato e fanatici fiancheggiatori del terrore: quelli che tentano di giustificare stragi e omicidi in nome di altre stragi e altri omicidi patiti. Come se l'uomo non potesse vivere altrimenti che seguendo il Vecchio Testamento e la sua sanguinaria legge dell'occhio per occhio.
Al funerale civile, non laico - ci tiene a precisare - ogni preghiera, ogni benedizione, ogni lacrima sarà accolta. Anche quelle di un Imam. E, scusatemi, ma io mi alzo in piedi e abbasso gli occhi. Perché io stessa, che vivo con la parola "pace" a fior di labbra, riconosco che, davanti a uno strazio simile a quello che accompagna la nuova quotidianità di quest'uomo, sarei furiosa.
Lo guardo bene, allora, cerco nei suoi occhi l'umanissimo furore che aspetta di azzannare gli assassini: continuo a trovare pace. Dolore, certo, ma pace. Vorrei chiedergli come fa, come riesca a mantenere inalterata la sua civiltà, come riesca a non chiudersi in un guscio di rabbia e frustrazione, come possa naturalmente aprirsi a quella diversità che oggi spaventa tanti, quasi tutti.
Vorrei che, passati i giorni del dolore che annichilisce, Alberto venisse invitato nelle scuole (almeno in quelle del mio Paese): che magari, più del racconto del movimento per i diritti civili o della lotta non violenta di Gandhi, ai ragazzi servirebbe ascoltare la voce di un uomo fatto di carne e sangue che è riuscito a invocare la pace sulla bara di sua figlia. Un uomo che riconosce la liceità di ogni fede, di ogni dio, anche di quello che pregavano gli assassini di sua figlia. Un uomo che insegna che la rabbia e il rancore non servono a fare del mondo un posto migliore. Un uomo che, per la miseria, ha perso il suo bene più grande, che non ha fatto nulla per patire questa perdita, che avrebbe tutte le ragioni del mondo per inalberarsi in un grumo di revanscismo razzista, e invece no: si infila gli occhiali e consegna a chi lo ascolta sillabe di amore, accoglienza e rispetto.
Vorrei che ogni politico che oggi si arma, di droni intelligenti o di parole infuocate, si fermasse a riflettere, almeno un po', sul messaggio che gli ha recapitato quest'uomo normale. Che non fa proclami, non si siede in cattedra, eppure tiene una lezione indimenticabile sul potenziale dell'umanità. Io lo ringrazio, con tutto il mio cuore, il signor Alberto. Mi ha fatta sentire una pulce di ipocrisia e banalità. E sono felice di sentirmi così piccola, così perfettibile, così misera: solo in questo modo potrò migliorare me stessa e sperare, un giorno, di avere nel cuore quello stesso rispetto per l'altro che fa di un uomo normale un grande uomo.
Alberto, questo è il nome nome normale di un uomo inconsapevolmente eccezionale, seppellirà sua figlia, e lo farà con dolore, rimpianto, angoscia e (immagino) un senso di perdita che solo un genitore che lo ha provato prima di lui, può comprendere. Ma lo farà senza quella rabbia e quel folle terrore che leggo nelle dichiarazioni di chi al Bataclan ha perduto solo l'idea di tranquillità in cui si cullava.
Nei giorni in cui il mondo annuncia la Terza Guerra Mondiale e si prepara a inondare di sangue i suoi quattro angoli, lui piano piano, senza alzare la voce, senza versare una pubblica lacrima (che non so immaginare quante ne stia versando nella violata tranquillità della sua casa) spiega al mondo che la pace è possibile. Lo spiega a capi di Stato e fanatici fiancheggiatori del terrore: quelli che tentano di giustificare stragi e omicidi in nome di altre stragi e altri omicidi patiti. Come se l'uomo non potesse vivere altrimenti che seguendo il Vecchio Testamento e la sua sanguinaria legge dell'occhio per occhio.
Al funerale civile, non laico - ci tiene a precisare - ogni preghiera, ogni benedizione, ogni lacrima sarà accolta. Anche quelle di un Imam. E, scusatemi, ma io mi alzo in piedi e abbasso gli occhi. Perché io stessa, che vivo con la parola "pace" a fior di labbra, riconosco che, davanti a uno strazio simile a quello che accompagna la nuova quotidianità di quest'uomo, sarei furiosa.
Lo guardo bene, allora, cerco nei suoi occhi l'umanissimo furore che aspetta di azzannare gli assassini: continuo a trovare pace. Dolore, certo, ma pace. Vorrei chiedergli come fa, come riesca a mantenere inalterata la sua civiltà, come riesca a non chiudersi in un guscio di rabbia e frustrazione, come possa naturalmente aprirsi a quella diversità che oggi spaventa tanti, quasi tutti.
Vorrei che, passati i giorni del dolore che annichilisce, Alberto venisse invitato nelle scuole (almeno in quelle del mio Paese): che magari, più del racconto del movimento per i diritti civili o della lotta non violenta di Gandhi, ai ragazzi servirebbe ascoltare la voce di un uomo fatto di carne e sangue che è riuscito a invocare la pace sulla bara di sua figlia. Un uomo che riconosce la liceità di ogni fede, di ogni dio, anche di quello che pregavano gli assassini di sua figlia. Un uomo che insegna che la rabbia e il rancore non servono a fare del mondo un posto migliore. Un uomo che, per la miseria, ha perso il suo bene più grande, che non ha fatto nulla per patire questa perdita, che avrebbe tutte le ragioni del mondo per inalberarsi in un grumo di revanscismo razzista, e invece no: si infila gli occhiali e consegna a chi lo ascolta sillabe di amore, accoglienza e rispetto.
Vorrei che ogni politico che oggi si arma, di droni intelligenti o di parole infuocate, si fermasse a riflettere, almeno un po', sul messaggio che gli ha recapitato quest'uomo normale. Che non fa proclami, non si siede in cattedra, eppure tiene una lezione indimenticabile sul potenziale dell'umanità. Io lo ringrazio, con tutto il mio cuore, il signor Alberto. Mi ha fatta sentire una pulce di ipocrisia e banalità. E sono felice di sentirmi così piccola, così perfettibile, così misera: solo in questo modo potrò migliorare me stessa e sperare, un giorno, di avere nel cuore quello stesso rispetto per l'altro che fa di un uomo normale un grande uomo.
di Deborah Dirani - Huffington post
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