"Arte, vita e sacro" di Mina Gregori
Mina Gregori, storica d’arte e Professoressa emerita presso l’Università
di Firenze. E’ una delle massime esperte mondiali del Caravaggio.
Come è nata la sua passione per l’arte?
Un fatto
familiare. Mio nonno si occupava del distacco degli affreschi …A mia madre devo
la passione per le cose antiche. Da bambina mi piacevano le cose vecchie e mi
facevo regalare oggetti che altrimenti sarebbero stati buttati: vecchie
serrature e cornici dismesse. Da mio padre peresi il senso del viaggio e della
libertà. Era un antifascista e Cremona negli anni trenta non era proprio la città
ideale per viverci.
La considerano la più autorevole studiosa di
Caravaggio. Cosa le ha dato o le ha tolto questo artista?
Di solito
lavorare sulle leggende è molto rischioso. Ma qualcuno deve pur farlo. A me
accadde di “scoprire” in anni giovanili un Caravaggio e questo ha un po’
cambiato la mia vita.
Proprio la parola “vita” entra con qualche decisione
nell’arte di Caravaggio.
Con lui il
rapporto arte-vita si rinnova. Era un uomo, come si sa, con molti problemi,
dotato di un’irrequietezza straordinariamente moderna. La sua arte fu un po’ la
sintesi della pittura fiorentina, veneziana e soprattutto lombarda.
Trasformò anche il rapporto con il sacro?
Certamente. I
suoi modelli erano figure reali. E questa fu una grande novità.
Non ritiene che il sacro sia definitivamente morto
nell’arte odierna?
Non sarei
d’accordo sul “definitivamente”. Anche nelle immagini contemporanee, perfino
nelle più dissacranti, si nasconde a volte un senso di mistero che provoca
tremore. Siamo abituati a immaginare il sacro come un’affastellata congrega di
santi o di madonne col bambino. Ma il moderno e il contemporaneo immaginano
tutt’altro. Guernica non ha la stessa
sacra autenticità di un dipinto del seicento?
Antonio Gnoli
da Antonio Gnoli, Intervista a Mina Gregori, Repubblica
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