Come combattere la violenza
Due ragazzi spingono
un anziano sulla scogliera causandone la morte. Restiamo agghiacciati
dinanzi a tale triste episodio, anche se siamo sicuri che quei due
ragazzi non erano coscienti della gravità del loro gesto.
Prendere in giro
l'altro, il compagno, l'amico che ti ha risposto male, esprimere giudizi
con faciltà su chiunque sia diverso da noi, irridere a condizioni di vita
che non comprendiamo, purtroppo lo abbiamo sperimentato tutti nella nostra
vita, è l'atteggiamento molto presente ella nostra società.
E, alcune volte, ne
siamo tutti contaminati.
Senza quasi averne
avvertenza, continuiamo ad esercitare quotidianamente questo giudizio su tutti e su ciascuno,
quasi che fosse un nostro diritto puntare il dito ritenendoci migliori o superiori
agli altri.
Dobbiamo invece prender
coscienza che il giudizio, espresso o tacito che sia, rompe ogni coesione sociale,
svaluta il valore dell'uomo giudicato, ci allontana psicologicamente dagli
altri, genera inimicizia, rabbia e conflitto, distrugge serenità e pace dentro
e fuori di noi.
Quei giovani di
Monopoli purtroppo sono il frutto di una società che è diventata violenta nella
mente, che ha imparato comunicare in modo violento, spesso con il sorriso
beffardo sulle labbra, e che giudica continuamente gli altri.
Il giudizio è l'arma
letale che mina nel profondo la pace sociale, che annienta quel bene
relazionale senza il quale l'uomo regredisce nella disumanità ed è capace,
senza quasi accorgersene, di togliere la libertà di vivere agli altri.
Purtroppo, dice
giustamente lo psicologo Pietro A. Cavaleri, la situazione è degradata perché del
bene relazionale “poco o nulla ci curiamo”; spesso non è presente nei progetti
educatici della scuola o in ogni altra agenzia educativa; non è a fuoco nelle
famiglie, nelle comunità, nelle associazioni.
La violenza che si
esprime, spesso, nei parlamenti e negli stadi ne è il paradigma più
lampante.
Sarebbe molto utile
impegnarci tutti, come singoli, come comunità, come associazioni, in un'azione
educativa, a tutti i livelli, per riportare all'attenzione di tutta la società il
bene relazionale, facendo pressioni di stampo democratico affinché
l'istituzione scolastica ponga a base del suo progetto culturale
tale bene, come sperimentò in anni non lontani Don Milani, nella sua scuola di
Barbiana, insegnando a prendersi cura gli uni degli
altri.
Se la scuola, le istituzioni tutte, le comunità le associazioni non faranno questo passo nuovo, episodi come quello di Monopoli si ripeteranno ancora, con altri connotati, ma sempre con la stessa violenta radice.
Se la scuola, le istituzioni tutte, le comunità le associazioni non faranno questo passo nuovo, episodi come quello di Monopoli si ripeteranno ancora, con altri connotati, ma sempre con la stessa violenta radice.
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