"Il raccolto del mondo" di Erri De Luca


Povertà è una trincea che non accetta tregua.

L’assedio della scarsità la vuole costringere a miseria. I poveri sono funamboli del circo povertà,

giocolieri di pani e di pesci difficili da masticare a lungo prima di inghiottire.

Divisi in parti uguali tentano una giustizia e non fanno guardare nel piatto del vicino.

Le mani dei poveri hanno cento mestieri, le ore di sonno hanno il dovere di offrire al domani

la forza lavoro della buona volontà.

“Tu non l’opprimerai” dice cinquanta volte la parola sacra.

Dice, continua a dire, perché scritta non basta, tutti gli oppressori hanno una Bibbia in casa.

Dev’essere esclamata nella piazza, sotto l’angolo retto della pioggia e del vento che lucida le stelle.

Va ribadita in faccia ai cieli chiusi.

Il povero è un atleta, la sua specialità è la maratona.

Se al ricco d’improvviso succede la caduta nella povertà sprofonda, annaspa, incredulo alla sorte.

Anche se professore, laureato, è analfabeta della povertà.

Nella rovina degli abbienti il povero indovina

l’avvento di una scopa cometa che spazza ogni cent’anni.

Lieti i calpestati, disse da un’altura sconosciuta

il figlio dell’i Adàm, padre di nessuno e fratello di tutti.

Non è avviso per posteri lontani, ma d’imminente urgenza.

I tempi da noi invecchiano in fretta e le fortune scadono,

la storia è una signora smemorata.

Il papa, il re e chi non tiene niente: questi sono i potenti,

ma solamente il terzo erediterà il raccolto del mondo.

Erri De Luca

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