Nel decennale dell'undici settembre

Matteo nel suo Vangelo ci racconta di un dipendente che doveva al suo padrone diecimila talenti.Matteo non lo dice, perché ovviamente i suoi contemporanei lo sapevano, ma si tratta di una somma enorme, pari a cinque volte i tributi e le tasse che affluivano in un anno nelle casse di Erode Antipa.
Una somma che nessuno sarebbe in grado di pagare. Il padrone esige il credito ma poi, davanti alle suppliche del servo, non solo gli concede una dilazione, ma addirittura gli condona il debito.

Il servo esce e incontra un collega che gli deve cento denari.Tre mesi di stipendio.Lo prende per il collo e senza pietà lo minaccia, esigendo i suoi soldi.
Il protagonista della parabola ha le sue buone ragioni. Anzi, egli esige quanto gli è dovuto secondo il diritto e la giustizia e nessun giudice potrà mai dargli torto.

Ma la parabola ci racconta che per pensare secondo Dio non basta rispettare il diritto e la giustizia.
La prima considerazione che mi viene in mente è sul significato del condono/perdono.
Perdonare secondo Dio non significa dimenticare tutto, metterci una pietra sopra e far finta che non sia successo niente. Quello è da coglioni. Perdonare secondo Dio significa invece non dimenticare, ma dare la possibilità di ricominciare e i mezzi per farlo.
Il padrone, condonando il debito al suo dipendente, ha fatto qualcosa di più che semplicemente liberarlo da un obbligo: gli ha dato di fatto i mezzi per rialzarsi e ricominciare a realizzarsi.
La seconda considerazione è sulla sproporzione dei debiti. O meglio sulla sproporzione della risposta: il dipendente pretende dal collega tre mesi di stipendio dopo essere stato liberato da un obbligo che - impossibile da onorare - lo avrebbe ridotto sul lastrico e costretto in schiavitù con tutta la sua famiglia.

Dal punto di vista del realismo narrativo la parabola è assurda, fantascientifica. Diecimila talenti è una cifra che non ha senso. Ma l'iperbole serve proprio a sottolineare la sproporzione tra il gesto del re e quello del suo dipendente verso il collega. Eppure lui agisce secondo il diritto e la giustizia.
Una "giustizia infinita", pari a quella che vendica i quasi tremila morti delle torri gemelle con i 50.000 morti della guerra in Afghanistan, di cui 14.000 civili.
Ecco la sproporzione: il nostro concetto di giustizia che punisce e vendica, togliendo all'altro la possibilità di ricominciare. Un vangelo azzeccato nel decennale dell'undici settembre.

Michele Vacchiano

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