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Visualizzazione dei post da giugno, 2013

"Una boa di salvezza per l'Europa" di Julia Kristeva

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Julia Kristeva L’Europa possiede una boa di salvezza nella tempesta che attraversa, ed è la sua cultura. E uno dei punti forti della cultura europea è la nostra concezione dell’identità. Nel mondo globalizzato si parla molto di diversità culturale, ma in realtà ognuno mette avanti la sua identità e attacca quella dell’altro…Tutti prestano culto alla propria identità. Lo spazio europeo è l’unico   ambito al mondo dove l’identità non è un culto, ma una domanda: “Chi sono io, se c’è l’altro? Che cosa posso fare per ascoltarlo?” Queste domande si radicano nelle culture greca, ebraica e cristiana…Ogni idea, ogni valore si costruisce   in un continuo dialogo…Non esiste   altra soluzione, altro modello per il futuro della globalizzazione, se non questa visione dell’identità e dei valori   come ricerca perenne…Sviluppiamo gli incontri, i gemellaggi, il multilinguismo che non è ancora sostenuto abbastanza! Bisognerebbe cominciare con i bambini e creare, fin dall’asilo, class

Il Comune: casa di tutti

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Conselice (Ravenna) Riportiamo un brano significativo dell’esperienza di Nerio Cocchi, già Sindaco di Conselice (Ravenna)   “…Questo senso comunitario ha fatto da trama nella pratica di governo del Comune che amministro e si è maggiormente espressa in questi anni, rivelandosi come una chiave per superare i pregiudizi nei rapporti con l’opposizione, con le tante anime della società civile. Quando si sceglie questo percorso comunitario, la pratica del dialogo diventa concreta ed è più facile ascoltarsi: al suo interno si consolida una nuova tolleranza, che scaturisce in un’azione di governo che non si pone contro qualcosa, contro le opposizioni o contro qualcuno in genere. Il senso sta tutto dentro allo sforzo di non sentirsi solo espressione di una maggioranza. Ed è con questo spirito che ho ricercato, al di là dei vecchi steccati ideologici e nel rispetto delle culture, l’incontro con i giovani cattolici…L’ho fatto partendo dal sentirmi un amministratore non solo d

Nuovo stile di vita per tutti noi

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Chiara Lubich, a Washington nel 2000, incontra 5000 musulmani “Lo scopo, il fine, il motivo per cui Gesù è venuto al mondo è tutto racchiuso in una frase: Morire per la propria gente . E, notate, Gesù non è morto per la sua gente che era innanzitutto il popolo ebreo e poi l'umanità intera, soltanto in croce. No: Gesù è stato sempre pronto a morire per la sua gente . La sua vita ne è lo specchio più luminoso... avvicinando e sanando storpi, ciechi, paralitici, rifiuto di quella società che vedeva nel dolore una conseguenza del peccato, avvicinando peccatori e peccatrici pubblici, donne di strada e ladri, sfamando gli affamati... Oggi i poveri, i ciechi, i morti, i peccatori... sono altri, hanno magari altri nomi: drogati, emarginati, handicappati, gente con visione parziale della vira, solo terrena, ad esempio, gente che odia, che propugna il delitto contro la vita di ogni età e l'immoralità più assurda; abbiamo i figli soli del divorzio, alienati spesso perché

Passare dalle parole ai fatti!

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Don Milani con un gruppo di alunni nella Scuola di Barbiana Nel mondo ci sono milioni di cattolici, milioni di ortodossi, milioni di musulmani, di buddisti, di induisti e, naturalmente, con tutte queste religioni, la realtà del mondo la si vede tutti, anche senza andare troppo lontano: violenza e l’amore non esiste. Tutti parlano d’amore e poi i fatti… Quello che si dice sia come quello che si pratica... Ho presente l’esperienza di un prete, di don Milani. Quello che predicava era come quello che realizzava: all’occorrenza, per aiutare, faceva il muratore, il manovale; per me questo è un esempio di coerenza che non ha pari a livello politico e in generale. Bisogna trovare l’onestà intellettuale e quando si dicono delle cose bisogna realizzarle. Navio Micheloni Da Atti del corso di approfondimento per “amici del dialogo” di convinzioni non religiose, Castelgandolfo, 27 febbraio -1 marzo 2009.

I CONFLITTI SI POSSONO RISOLVERE

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Dove ci sono uomini, ci sono conflitti. Questo ci dice la storia e sembra inevitabile. Invece l’esperienza dimostra che i conflitti si possono risolvere. Io credo che noi abbiamo degli strumenti per cambiare quello che sembra inevitabile nella natura dell’uomo. Possiamo essere mediatori in tanti piccoli conflitti di ogni giorno, nei diversi ambiti dove la nostra vita si sviluppa. Lavoro in una fabbrica di pezzi di ricambio per automobili. Da 7 mesi abbiamo un dipartimento tecnico, uno di controllo di qualità e un altro di produzione. Fra questi due ultimi c’era sempre conflitto, non di violenza fisica ma verbale. Allora ho deciso di fare il mediatore…Ho cercato di essere presente, nella misura del possibile, nelle riunioni dove discutevano i problemi, e di ascoltare l’una e l’altra parte. Cercavo quello che avevano in comune e lo facevo vedere. Mostravo loro che quelle opinioni che sembravano diametralmente opposte, erano in realtà differenze di sfumature nel modo di vedere

A CHE SERVE UNA GUERRA?

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Guerra in Siria! “Il male produce il male, come la palma produce il dattero. E la realtà mostra, nel campo della guerra, l’inconsistenza pratica del machiavellico aforisma secondo cui “il fine giustifica i mezzi”. Il fine può essere la giustizia, la libertà, l’onore, il pane: ma i mezzi producono tale distruzione di pane, di onore, di libertà e di giustizia, oltre che di vite umane, tra cui quelle di donne, bambini, vecchi, innocenti di ogni sorta, che annullano tragicamente il fine stesso propostosi. In sostanza la guerra non serve a niente, all’infuori di distruggere vite e ricchezze…Se quanto si spende per le guerre, si spendesse per rimuovere le cause, si avrebbe un accrescimento immenso di benessere, di pace di civiltà: un accrescimento di vita. E non è meglio vivere che morire ammazzati?” Queste parole sono di Igino Giordani, tratte dal libro intitolato Inutilità della guerra , edito da Città Nuova nell’aprile del 2003. Igino Giordani nasce nel 1894 e   muore nel 19

"Li dentro la parola viaggio era proibita" di Erri De Luca

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Dietro le griglie del penitenziario dell'isola di Procida I pubblici poteri hanno visto le isole come reclusioni naturali, piantandoci dei penitenziari. Ho avuto invece la notizia opposta: le isole sono state per me il concentrato della libertà. Perciò sul loro suolo, più che in terraferma, è osceno l’edificio delle detenzioni. Le sbarre e il mare: è la più insolente contraddizione, più della fame innanzi a una tavola imbandita. Da mare guardavo la cupa fortezza di Procida. Dietro le griglie spuntava a volte un braccio per saluto a noi, liberi sulla barca. Rispondevo con la mia maglietta e con l’agitazione delle braccia al vento. Lassù, dentro il perimetro sbarrato anche a togliersi le scarpe si restava nella camicia di forza degli anni di pena assegnati. Li dentro la parola viaggio era proibita. Erri De Luca Da Erri De Luva, Elogio del camminare, Avvenire, 24 maggio 2013